La prigione minorile di Addis Abeba

Ieri sono stato a salutare i ragazzi rinchiusi nella prigione minorile di Addis Abeba. Dopo le visite dello scorso anno con Abba Brhanu, il caro amico salesiano, colui che mi ha aiutato nella mia piccola personale missione con Yonas, ci sono tornato con Brother Tefsaye e un assistente sociale.

Il progetto di recupero dei ragazzi ai quali viene offerta la possibilità di scontare la pena nel nostro centro, in accordo con il governo etiope, è un’iniziativa meravigliosa e difficile. Le condanne più lievi sono quelle per furto, mai inferiori ai sei mesi. Poi ci sono i reati gravi come l’omicidio e qui la faccenda si fa seria. Il minimo della pena è di 7 anni. Tutti gli altri reati come lo spaccio o l’uso di droghe è severamente condannato ma varia da situazione e recidività.

La struttura realizzata dal governo italiano nel 1994 è un regalo dimenticato dal nostro ministero della giustizia ed è a pochi chilometri dal centro storico della capitale, da quel lontano anno non ha avuto alcuna manutenzione se non quella ordinaria. Ci sono alcuni stanzoni enormi dove nella penombra rimangono rinchiusi i ragazzi per la maggior parte del tempo.

Il caldo è pregno di solitudine e le facce dei ragazzi che per ovvii motivi non ho fotografato sono tristi e invecchiate. Non sorridono, sono prigionieri delle ferree regole e il loro orgoglio ribelle è amaramente calpestato.

Le guardie carcerarie ci accompagnano nella stanza dove ci incontriamo con loro per parlare e conoscere meglio le loro storie. Alcuni mi riconoscono e mi salutano accennando un sorriso e intonando una filastrocca che cantavo quando andavo nel quartiere di Piazza dove viveva Yonas.

Sono tanti, piccoli e smarriti nell’ennesimo gioco andato male e che pagheranno a duro prezzo.

Appoggio la schiena sul muro della stanza mentre chiacchieriamo ma devo immediatamente staccarmi per non rimanere appiccicato. La parete è freddissima, gelata, qui dentro non c’è alcun calore che la possa scaldare.

Quel muro è come il loro cuore, abbandonato al crudele freddo della prigione e fuori la temperatura raggiunge i trenta gradi.

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